Eziologia di una Scacchiera di carta

Ogni Istruttore, la prima volta almeno, ne è stato sorpreso e travolto come un temporale improvviso in una giornata assolata. L’entusiasmo e la passione dei bambini per gli scacchi nasce, infatti,  dalle emozioni che questo gioco suscita nella loro esperienza.
Questo è il principale motivo che non ci fa “comprendere” le loro partite e, anziché scandagliare l’animo della scelta, ci porta alla castrazione dell’esecuzione. Difetto orribile, come l’oblio di quell’entusiasmo e passione che ci ha portati alla superbia della nostra bravura d’insegnanti.
In barba al raziocinio ed al metodo, in barba alla perfezione, tuttavia, molti di noi si ricordano il primo incontro con gli scacchi e la magia di castelli, Re e Sovrane, di campi di battaglia ed avventure… l’emozione ci ha condotto al gioco e ci ha fatto creare mosse, partite, mestieri ed opere d’arte.
Diceva Picasso “L’artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una tela di ragno.” e potremmo aggiungere da una scacchiera o dai suoi pezzi.

Ogni Istruttore ha l’obbligo di non dimenticare questa magia. Per fortuna ci sono le emozioni genuine dei bambini. Ascoltatele, diventeranno un imperituro promemoria.

NOTA BENE: La scacchiera di carta è stata realizzata da una bambina di 3^ Elementare dell’Istituto Comprensivo di Castel Mella.

Preferisco andare al Circolo

I ricordi, si sa, non è possibile riviverli. Sono però come certi odori, appena ne senti la fragranza ti trasportano in quella identica atmosfera di quando li hai respirati la prima volta. Alcuni, poi, ci sono molto cari perché inconsapevolmente ci piace ripeterli.
Della prima volta che misi piede in un Circolo ricordo le sonore lezioni di pratica del gioco, a scapito delle mie conoscenze acquisite sui libri. Ancor più vivida nella memoria è l’immagine dei pezzi che prendevano vita nelle mani dei giocatori: alcuni si muovevano in silenzio, quasi strisciando sulla scacchiera; altri sembravano infrangersi su quelli catturati all’avversario; altri ancora apparivano come per magia su una casa dimenticata; infine, c’erano quelli fuori dal campo di battaglia, prigionieri stretti nelle mani del rivale, spostati da una parte all’altra della scacchiera.
Chi dice che gli scacchi non sono un gioco fisico, li ha giocati esclusivamente in maniera bidimensionale e solo su uno schermo.
Da quella volta in poi, imparai che non esiste partita a scacchi senza un antagonista, un contendente, un avversario, un nemico-amico vero e reale, non un semplice alter-ego semisconosciuto che, tutto al più ti lancia un saluto o un insulto e impari cosa vuol dire “dumb idiot”.
Sì, perché se è vero del cibo, ancor di più lo è per il nostro millenario giuoco: “ Dimmi come giochi a scacchi e ti dirò chi sei”.
Così continui ad andare al Circolo, giochi una partita: vinci o patti o perdi. Non importa o proprio perché ti importa, insisti, torni indietro a quello che vi eravate detti in partita mossa dopo mossa e, se il confronto è schietto ma complicato e divergente, tutti gli altri si sentono in dovere di dire la loro mossa, idea, piano: le conoscenze si accrescono, la tecnica si acquisisce. Il duello, tuttavia, non trova pace e si rimettono in moto gli orologi. Se proprio non vi è modo di dirimere la questione e siete in troppi, nulla di meglio che un torneo amichevole con spareggio finale in caso di ex-aequo.
Datemi pure del romantico, ma ci sono ricordi che ti fanno innamorare e dei quali non puoi più farne a meno e proprio non vuoi. Così’ ritorni tutte le sere al circolo per poterli perpetuare e farli crescere con te.
Quando, ormai nei pressi delle auto, qualcuno azzardava: “Ti lancio una sfida su internet” non faceva a tempo a finire la frase che tosto la risposta chiudeva la conversazione: “Grazie, preferisco venire al Circolo! Alla prossima, ragazzi.”