Alfi e l’avventura nel castello

Alfi amava andare a scuola. La sua era, infatti, una scuola diversa da tutte le altre. Sì, si imparava tanto, ma divertendosi un mondo e provando e riprovando quello che la maestra chiamava il gioco della vita.
No, i banchi non c’erano, questo gli piaceva un mondo. Ancor di più, gli piaceva, che tutta la scuola fosse grandissima, quadrata diceva la maestra, e per spostarsi da una stanza all’altra si poteva scegliere come muoversi: avanti, indietro a destra o sinistra, c’era chi addirittura faceva un movimento in cerchio saltando tutti gli ostacoli. Come diceva sempre la maestra, però, una volta scelto bisognava diventare responsabili e rispettare le proprie scelte.
“Troppo facile, bambini, fare sempre quello che ci piace! Avete scelto la vostra regola, ora dovete rispettarla! Sarete così bravi da essere così forti?” E mentre girava i tacchi, facendo svolazzare la gonna ed i capelli lunghi, Alfi e tutti i bambini, che volevano subito diventare grandi gridavano forte:
“Sììì”
Alfi non era come suo fratello gemello, senza paura. Per questo aveva subito scelto di muoversi in obliquo, la maestra usava quella parola strana ‘diagonale’ che lui proprio non riusciva mai a pronunciare bene, ci provava ma dalla bocca gli usciva sempre ‘digaonale’. Avendo, però, paura del buio aveva deciso di muoversi solo nelle stanze ben illuminate e chiare. Le aveva scelte, anche perché,  subito, gli erano sembrate tante, poi alcune erano corte mentre altre erano lunghissime. Così, a volte, se gli serviva, riusciva a percorrere tutta la scuola velocemente da una parte all’altra e senza cambiare direzione.
Ogni giorno le lezioni erano una nuova sfida. Era sempre diversa da quella del giorno prima ed emozionante perché non sapevi mai quello che ti sarebbe capitato e, alla fine, la maestra, attraverso i suoi occhiali colorati, spiegava a tutti che a scuola non si vince e non si perde mai, ma si impara sempre.
Ne aveva imparato tante di cose, Alfi, nelle giornate di gioco a scuola. Le aveva contate tutte le sessantaquattro stanze, di cui la scuola era composta, e le aveva visitate una ad una.
Con il tempo e l’aiuto della maestra e di tutti i suoi compagni, però, aveva imparato che non tutte le stanze erano uguali. Se si metteva, per esempio, in una stanza centrale, diventava molto più forte e veloce, poteva allora percorrere tutta la scuola da una parte all’altra. Conosceva, inoltre, il nome di tutte le stanze. All’inizio le leggeva sulla porta, certo, ma ormai Alfi le aveva imparate tutte a memoria.
Quante corse aveva fatto avanti e indietro lungo tutta la scuola!
Non era facile frenare le proprie emozioni e vivere insieme a tutti i suoi compagni, che si muovevano diversamente e avevano spesso idee molto diverse. All’inizio, quando la maestra gli aveva detto che doveva partire dalla casa f1, era stato molto contento.
“Sì, signora maestra!” aveva subito risposto, e subito dopo:
“Le prometto che sarò veloce come Ayrton e la sua formula uno!”
La maestra, arricciando prima il naso, ma subito dopo allargando un sorriso con i suoi bianchissimi denti, gli aveva raccomandato:
“Impara, piccolo Alfi, che la fretta non è buona consigliera e che l’istinto non sempre ti farà ottenere ciò che vuoi”.
Alfi, però, chi lo fermava, con tutta quella energia che aveva in corpo! E quante volte era dovuto ritornare indietro, fuggire, scappare! Quante volte era finito in una prigione, per colpa di quei piccoli Piedilenti!
Prova e riprova, non ci si arrende e si rigioca, e il nostro piccolo eroe aveva imparato a muoversi insieme agli altri, proprio come diceva la maestra alzando il dito minaccioso:
“Se tutti insieme vi aiutate, il Rebullo imprigionate!”.
Così, pian piano, Alfi capì d’essere paziente e contare gli amici che lo aiutavano. La matematica diventò la sua arma. Con suo fratello gemello al fianco, poi, diventava ancor più forte e meno pauroso, guai se le strade libere trovavano.
Imparò che i Piedilenti avevano bisogno del suo aiuto, così spesso  anche loro lo proteggevano. La sua preferita era Tordiritta, che forte e veloce insieme al suo aiuto in un mulinello facevano piazza pulita attorno al Rebullo. E quando lontano era arrivato il Cavalgaloppo, chiamava lui come rinforzo. Niente, però, poteva arrestarlo quando al fianco della Reginbella di tutti gli altri andavano all’attacco.
Un bel giorno da lontano guardava il Castello del Rebullo, tutto chiuso da una muraglia di Piedilenti. La partita era dura, pensava di saper tutto e non vedeva il modo per evitare la sconfitta alla propria squadra, il suo Rebullo stava per essere imprigionato. Guardò intorno e tutto triste pensò d’arrendersi. Parlò con la Rengibella, si rivolse al suo gemello e vide un Cavalgaloppo coraggioso al suo fianco.
La maestra lo guardò fiducioso, poi si rimise a leggere aggiustandosi gli occhiali. Pensò, poi disse agli altri:
“E se facessi visita al Castello, attirando fuori il Rebullo?”
I Piedilenti lo incoraggiarono, però ad Alfi non piaceva uscire subito dal  gioco e stare vicino alla maestra. Si decise, alla fine, e  tutto contento si rivolse nuovamente agli altri:
“Mi promettete, vero, che lo prenderete? Dobbiamo vincere, me lo promettete?”
“Lo  giuriamo!” urlarono tutti.
In un attimo si ricordò: non si vince e non si perde ma si impara sempre! E veloce corse verso il Castello del Rebullo.